Della sofferenza. Appunti fenomenologici come introduzione alla psicoterapia[1]
L’ubiquità del patire.
L’orizzonte attuale della (nuova) sofferenza psichica.
[1] Il presente lavoro rappresenta una sintesi, inevitabilmente schematica, dei punti-chiave, di carattere epistemologico, esposti distesamente in alcune lezioni dello scorso anno. La scansione per punti è stata adottata per consentire tanto un maggior livello di chiarezza espositiva, quanto e soprattutto per favorire un controllo critico sui singoli passaggi e quindi ottenere un feed-back di stimoli, suggerimenti e osservazioni
[2] La bibliografia è disponibile presso la segreteria.
Per un modello multisistemico, dinamico e discorsivo dell’uomo nel contesto metodologico e formativo della clinica psicoterapica.
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Dott. Ivano Lanzini
Psicologo, epistemologo, psicoanalista
"…dell’immortalità dell’anima si è parlato abbastanza, ma quanto alla sua natura c’è questo che dobbiamo dire: definire quale essa sia, sarebbe una trattazione che assolutamente solo un diopotrebbe fare e anche lunga, ma parlarne secondo immagini è impresa umana e più breve."
Platone, Fedro 146 a
"The most merciful thing in the world, I think is the inability of the human mind to correlateall its contents " (*)
H.P. Lovecraft, The Call of Cthulhu
(*) "Penso che la cosa più meritevole di compassione al mondo sia l’incapacità della mente umana di mettere in relazione tutti i suoi contenuti"
Una premessa come "giustificazione" dei limiti.
Il presente lavoro nasce da problematiche epistemiche e si muove verso finalità teoretiche e formative che nascono non solo dalla ricerca epistemologica per quel tanto (ed è molto) che di essa positivamente interferisce nei processi di comprensione della psicologia, della psicoterapia e della psichiatria contemporanee, ma anche, e in larga misura, dalla decennale esperienza didattica interna alla nostra Scuola, ove progressivamente più strutturata si è venuta configurando, grazie a domande sempre più lucide e mirate, l’esigenza di una migliore impostazione di tematiche strategiche concernenti: la struttura concettuale profonda del "sapere" psicologico (in tutte le sue diramazione ed orientamenti); le ragioni delle tensioni antagonisticheche attraversano tale sapere, specie nei suoi versanti applicativi; il senso e la possibilità della costruzione di un reale rapporto e pratica interdisciplinare nello studio e nella "cura" della sofferenza psichica, capace tanto di superare i rischi del riduzionismo organicistico, quanto quelli di un sociologismo verboso o del misticismo spiritualista di tante medicine e terapie "alternative".
Come tutti i quesiti strategici, che attengono cioè ai fondamenti di un sapere (e in questo caso, addirittura di più saperi: medici, psicologici, antropologici, sociologici), essi non possono ricevere risposte né dirette, né tantomeno esaustive, ma solo indirette e approssimate. "Risposte" cioè che svolgano o tentino di svolgere una funzione di preliminare chiarificazione concettuale delle problematiche in esame, nella speranza di promuovere, poi, una più avanzata impostazione delle problematiche così chiarite.
A rendere poi i suddetti quesiti ancora più complessi, se non enigmatici, interviene - in modo per certi versi drammatico e sconcertante – il riconoscimento di come essi tutti implichino per poter ricevere qualsiasi tipo di chiarimento legittimo e razionale che si parli prima e finalmente di qualcosa che essi stessi presuppongono…senza però esserne realmente consapevoli. Ci riferiamo all’idea o concetto di "Uomo", a cosa debba intendersi con tale termine che sembra denotare un qualcosa rispetto al quale i diversi saperi disciplinari ardiscono presentarsi quali approfondimenti tematici di alcuni suoi attributi fenomenici: biologici, psicologici, socio-culturali ecc.
Per questa ragione, abbiamo ritenuto opportuno porci come obiettivo essenziale dell’intero lavoro quello di tracciare la cornice epistemologica più adeguata alla costruzione di un modello di uomo, capace di essere assunto e operare come luogo di contestualizzazione rigorosa dei saperi teorici e pratici implicati nello studio e nella cura della specifica fenomenologia psicopatologica dell’uomo e quindi come occasione per un ripensamento complessivo delle relazioni intercorrenti sia e primariamente tra quegli stessi saperi sia, onde evitare qualsiasi ingenua sopravvalutazione dei nostri saperi "psi", delle relazioni intercorrenti tra tutti i saperi disponibili sul sistema uomo.
Va da sé, pertanto, che il presente lavoro assumerà una forte connotazione meta-disciplinare, e quindi ci obbligare a ri-pensare il nostro pensare disciplinare dell’uomo, a porre tra noi e questo pensare una forte distanza critica. Una distanza così forte da renderci un po’ esploratori dei nostri stessi paesaggi disciplinari, questa volta però rivisti con sguardo stupito e nuovo: l’unico possibile per vedere davvero qualcosa: sia essa un qualcosa di realmente nuovo, sia essa un problema in luogo di qualcosa di precedentemente dato per scontato.
A.Chiarimenti terminologici, premesse filosofico-epistemiche ed implicazioni discorsive.
Procederemo secondo un ordine logico-schematico.
Per le stesse ragioni, non si intende qui proporre un "qualcosa" che si colleghi direttamente a un "qualcos’altro". Non si vuole cioè dare per ovvio e scontato alcun rapporto lineare, diretto e certo tra modello e ciò che il modello include o denota. Anche perché tra "modello" e "res" si riconosce una problematicità non solo relazionale, di modo, ma, appunto, anche ontologica, concernente il cos’è della cosa (in questo caso specifico, dell’Uomo)
Si tratta in breve di un modello-modo di organizzare dati di/su qualcosa che non puòancora, e per rigorose ragioni di merito e metodo, connettersi a quel qualcosa, anche perché, per molti aspetti, quel "qualcosa" è oltre il suo orizzonte di visibilità (e questo sia per la limitatezza di quest’ultimo, sia per l’ubiquità eccentrica del qualcosa, sia forse per la sua esistenza instabile, metamorfica…noumenica).
2. questo modello-di-"uomo" insomma non ci parla dell’uomo, bensì di come l’uomo sembraapparire, in seconda, mediata, meditata, e già parzialmente arte-fatta battuta: precisamente quella battuta che segue ed è l’operazione del ritaglio disciplinare (più o meno diretto – dopo Popper questo "più o meno" è divenuto doveroso e quasi universalmente accettato) attuato sulla complessa fenomenologia dell’uomo (e dell’umano).
3. Graficamente questa relazione in-diretta (e, vedremo, non ontologicamente fondata) tra il nostro "Modello" e l’"Uomo" assume il seguente aspetto o andamento logico-metodico:
Ci teniamo a fare notare come questo andamento evidenzi la sistematica dipendenza del modello rispetto alla sua sequenza genetica – anche se tale dipendenza non è totale, dal momento che deve consentire lo "spazio" a quelle delle ipotesi costruttive che fanno del modello un modello (e non una mera fotocopia di dati).
Tale modello presenta le seguenti essenziali caratteristiche epistemiche:
Presentare l’uomo come ente discorsivo (a causa della dinamicità strutturale delle relazioni intersistemiche che ne esprimono la fenomenologia: biologia, psicologica, socio-culturale) implica infatti:
Del resto, che una imputazione causale in chiave di preminenza sistemica non sia affatto riducibile ad una forma di relativismo causativo è dimostrabile dal fatto che siffatta imputazione deve essere sì consapevole della sua parzialità, del suo non poter aspirare ad alcuna ultima analisi, e quindi a non essere più una spiegazione conclusiva (cosa dopo Kant, peraltro, risibile) ma deve altresì dimostrare empiricamente la specificità quantitativa e qualitativa dell’interazione tra sistema di riferimento e fenomeno da spiegarsi. Deve quindi esporsi al rischio della prova e, passatolo vittoriosamente, reclamarne la provvisoria coppa.
B. Implicazioni e problemi degli sviluppi inter-disciplinari del modello.
Per quanto in largo misura intuibili – alla luce delle considerazioni svolte in A. – ci pare opportuno evidenziare brevemente il senso dello sviluppo disciplinare del modello sopra esposto, in quanto, come rammentato in sede introduttiva, originariamente finalizzato ad un uso clinico-epistemico, ruotante attorno all’assunzione, quale "oggetto di indagine" dell’uomo nella sua dimensione preminentemente individuale. (La fenomenica dell’umano cui il modello rinviava e dai cui, per via ricompositiva, derivava era cioè una fenomenica del soggetto singolo, del soggetto in quanto singolo individuo).
Dal momento che il modello si snoda in una articolazione fenomenico-sistemica sulla base di una sua derivazione disciplinare – e cioè assumendo i vari punti di vista disciplinari; non sembrano esserci particolari difficoltà a leggere i sistemi fenomenici come sintesi di prospettive disciplinari dotate di forte ed empirica contiguità nonché di necessatati livelli di implicanza e sovrapposizione metodologico-oggettuale.
Il grafico, in Allegato 2 potrebbe già visualizzare la struttura concettuale di quanto qui esposto.
Va da sé che la traduzione disciplinarizzata del modello pone in evidenza l’assenza di un macro e super o meta-modello, adeguato all’idea di Totalità, o di Insieme dinamico.
Per quanto intrecciate, complicate (plicum) e complessificate (plexum), per quanto dinamicamente interattive e interagenti le prospettive disciplinari [biologiche(microbiologia, biochimica, biogenetica, biologia evoluzionistica, antropologia biologia ecc.) – psicologiche (dinamiche e non; psico-fisiologiche, etologiche, psico-sociali, psico-evolutive ecc.) – socio-cultural-antropologiche (micro-macrosociologia, sociologia della conoscenza, della cultura, della religione, antropologia materiale e simbolica ecc.)] non "creano" un effetto finale unitario, compiutamente "ecologico" – non si giunge, insomma, ad alcuna Idea in sé e per sé,pur mantenendo criticamente, dell’hegelismo, l’istanza del "Vero come Intero".
Il fatto, meglio, l’opinione nostra è che, allo stato attuale delle conoscenze empiriche disponibile, alla luce dell’attuale dibattito epistemologico, sulla base del persistere "obiettivo" di differenze non retoriche e non meramente analitico-linguistiche, ma conceptually founded, tra campo dell’indagare fisico-cosale, della discretezza riproducibile e campo dell’indagare "meta-cosale" (specie poi se colto nella sua espressione simbolica: campo del senso, dei significati ecc.) non ci pare né epistemicamente né metodologicamente né fattualmente proponibile una idea di ultima sintesi, di un modello adeguato alla riproduzione concettuale della totalità dell’uomo. Siffatto modello rischierebbe di riprodurre o antinomie metafisiche dopo Kant realmente inconsistenti o di promuovere, involontariamente e però surrettiziamente, un modello ontologico di totalità (non importa se idealisticamente o "materialisticamente" connotato) che poi agirebbe quale rovescio speculare dell'ultima analisi. Così producendo il paradosso di un riduzionismo (squisitamente metafisico) dell’ultima sintesi.
In breve, aforistica espressione: possiamo, per ora, ragionevolmente pensare all’uomo come ad una totalità di totalità sistemiche. Ma dal momento che ben poco sappiamo, ancora, di come quelle totalità si tengano, si sostengano, producendo effetti finali "globali", pare prematuro qualsiasi pronunciamento sul tutto che non sia rigorosamente metodologico: una indicazione –a e non un dire (positivo) di/sul tutto.
Probabile è, del resto, che di quella totalità mai si dirà bene a abbastanza.
Vale per la "totalità sistemica dell’uomo" (come singolo e species) quello che Platone asseriva della natura dell’anima: "Solo gli dei sanno dire cos’è. Ma immagina… questa similitudine…".
Speriamo che la similitudine, il "facciamo finta che" del modello consenta un avvicinamento, un approccio non molesto all’uomo così come sembra apparire allo sguardo panoramico dell’interdisciplinarietà (tenendo conto però, che, dopo la "Morte di Dio", abbiamo cancellato ogni orizzonte…senza per questo accedere al nulla!).
Se è ormai notoriamente vero che non si dà pressochè mai lettura di fatti, e soprattutto di fatti umani, che sia neutra, nella quale cioè il soggetto non sia in qualche modo implicato, è allora altrettanto vero che il proporre un modello come quello sopra schematicamente abbozzato è tutt’uno con il proporre un modo di essere coinvolti nell’oggetto uomo. Unitamente ad un modo di commentarlo alla luce delle "nostre" esperienze, della nostra cultura – la cultura essendo la forma più sofistica e pratica con cui l’uomo commenta se stesso e il (suo) mondo.
Ora un siffatto modello, pare espressione di istanze culturali, a chiaro impatto formativo (perché tale da suggerire un orientamento – letteralmente un modo di prendere direzioni – nel contesto esistenziale della condizione umana e nel contesto cognitivo dei processi di una sua attendibile, efficace e sensata comprensione.
Molto schematicamente, queste opzioni formative (culturali e cognitive stricto senso, "scientifiche") possono riassumersi così:
Il principio della contestualizzazione rappresenterebbe qui un modo empiricamente prudente di gestire la tematica o prospettiva (ineludibile) della disciplinarietà…nel contesto della multisistematicità.